Beatles e Rolling Stones by Gino Castaldo

Beatles e Rolling Stones by Gino Castaldo

autore:Gino Castaldo [Castaldo, Gino]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 2022-01-05T12:00:00+00:00


Come se fosse cosa di ogni giorno vedere un cielo di marmellata e incontrare una ragazza dagli occhi caleidoscopici… Ancora una volta, però, fu Paul a spiazzare i compagni, il morbido, romantico Paul, rubando la scena a John: fu il primo ad ammettere in pubblico di aver provato l’Lsd, e lo fece con un tono austero e teso in una dichiarazione televisiva che fu messa in onda il 19 giugno del 1967, durante la quale fa bene attenzione a specificare che in nessun caso e per nessuna ragione al mondo consiglierebbe a chicchessia l’esperienza e, se ne parla, è solo perché gli è stato chiesto e lui si sente in dovere di rispondere con sincerità, di non mentire. La responsabilità è di chi gli ha fatto la domanda e divulga la risposta. Erano gli anni in cui il famigerato poliziotto Norman Pilcher cominciò la sua personale campagna anticelebrità, fu lui infatti ad arrestare Jagger e Richards, e nel 1968 catturò persino John e Yōko che, proprio come succede nei film, all’arrivo della polizia cercarono di far sparire quello che avevano in casa, senza peraltro riuscirci. Lo stesso Pilcher arrestò in seguito George Harrison, Donovan, e mancò per un pelo Eric Clapton, che riuscí a scappare dalla porta posteriore quando al citofono Pilcher si annunciò fingendosi il postino. Peccato che l’accanimento del poliziotto, già di per sé sospetto, fu ridicolizzato una volta per tutte quando si scoprí che manometteva le prove e pagava gli informatori con la droga che sequestrava a casa dei «criminali».

Fin qui parliamo delle cosiddette droghe della conoscenza, ma c’erano anche quelle dell’oblio. Lo stesso Lennon descrisse qualcosa che aveva a che fare con le droghe pesanti in Happiness is a warm gun, senza però alcuna volontà istigatrice. Piú o meno come fece Lou Reed nella sua contestatissima Heroin, che difese giustificandola come una pura e semplice descrizione. Ovviamente il confine è molto labile, la fascinazione legata agli artisti che «confessano» in maniera poetica l’uso di sostanze stupefacenti potrebbe essere ritenuta comunque una possibile fonte di emulazione, seppure involontaria; ma l’attribuzione di qualsiasi tipo di responsabilità a un artista che si esprime liberamente è, e sarà sempre, oggetto di discussione. Difficile se non impossibile trovare un accordo che soddisfi tutti.

Quando dopo la piccola sbronza psichedelica tornarono a riprendere la via maestra, gli Stones incisero i loro migliori album in assoluto, una sequenza mozzafiato che rappresenta uno dei monumenti piú riusciti in onore del rock: Beggars banquet, Let it bleed, Sticky fingers, Exile on Main St. Punto e basta. Qui c’è davvero poco da discutere. Era il trionfo assoluto e definitivo dell’estetica dionisiaca, il momento piú alto della sfrenata corsa della band. Ma l’abbinamento alla droga sembrava andare di pari passo con il crescere della posta. Oltre a essere uno dei migliori album rock di sempre, Sticky fingers è anche quello piú tossico, e per farsene un’idea basta scorrere i titoli: Brown sugar, Bitch, Sister morphine. L’ultimo della magica serie dei quattro album, Exile on Main St., fu inciso



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